domenica 16 gennaio 2011

☆ Ruth Vander Zee - Roberto Innocenti - La storia di Erika

I testimoni. Ancora pochi. Perchè pochi sono i sopravvissuti. E anche quei pochi, con il passar degli anni se ne stanno andando. Passare il testimone, dire, raccontare. Scrivere, documentare, giurare. Perchè si sappia ancora, perché si sappia sempre. Perché non accada più.

Anche La storia di Erika è la testimonianza di una storia vera. Per appoggiarne la verità, imprimerla indelebilmente nelle menti e nei cuori, bisognava raccontarla così come è stata raccontata, in questo libro, con parole lapidarie, pronunciate nella via crucis di morte e resurrezione delle tavole illustrate.
I lugubri binari, le stazioni fumose, i carri per le bestie su cui salivano gli ebrei dell’Olocausto per l’ultima destinazione, le immagini cui ci hanno abituato i documenti d’epoca, qui diventano nette, precise. Hanno subito l’amputazione chirurgica di qualsiasi retorica. Diventano metafisiche.

Da uno di quei carri fu lanciata Erika: “Nel suo viaggio verso la morte, mia madre mi scaraventò dentro la vita”.

Seguite la traiettoria di quel fagottino rosa, che illumina l’ombrosa precisione della tavola, tornate indietro, a un’altra luce: una carrozzina di bianco abbagliante abbandonata (ricordate la scalinata di Odessa nel film più famoso di Ejzenštejn?- anche lì una madre con la medesima intenzione...).
Macchie chiare, di colore - il fagotto e la carrozzina - per una vita che s’è deciso di “lanciare” contro la morte.

Nel racconto di Erika, che si apre al passante occasionale, che poi è l’autrice, che lo raccoglie, gli dà forma e lo passa alla lettura del mondo, entra tutta la sua storia (la generosità di chi l’ha raccolta in fasce dai binari, l'ha allevata ed amata) ma anche l’emozione di immaginare un’altra storia, quella dei suoi genitori e di tutti quei sei milioni di Ebrei che dal 1933 al 1945 furono sterminati dall’odio nazista.

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